Separazione delle carriere, via libera del Senato alla riforma costituzionale

Il 30 ottobre 2025, il Senato italiano ha approvato definitivamente la riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere della magistratura. Questa modifica radicale dell’ordinamento giudiziario italiano, dopo quasi un anno di discussione parlamentare, segna un cambio strutturale significativo nel sistema di giustizia nazionale. La riforma distingue i percorsi professionali tra giudici e pubblici ministeri, istituisce due Consigli Superiori autonomi e crea l’Alta Corte disciplinare per uniformare le sanzioni e garantire maggiore trasparenza. Tuttavia, non avendo raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le camere, il provvedimento sarà probabilmente sottoposto a referendum confermativo nella primavera 2026, il cui esito determinerà l’effettiva attuazione della riforma.

In sintesi: La riforma separa le carriere di giudici e pubblici ministeri in due percorsi distinti con organi di governo autonomi, impedisce i passaggi tra funzioni, istituisce un’Alta Corte disciplinare centrale e richiede l’approvazione di leggi ordinarie entro un anno per l’attuazione completa dei dettagli normativi e organizzativi previsti.

Le origini e gli obiettivi della riforma

La separazione delle carriere magistrati risponde all’esigenza di rafforzare l’indipendenza del potere giudiziario e chiarire i ruoli tra chi emette sentenze e chi esercita l’accusa. Fino al 2025, giudici e pubblici ministeri appartenevano a un unico corpo, la magistratura ordinaria, condividendo lo stesso Consiglio Superiore della Magistratura e seguendo percorsi formativi identici. Questa struttura unitaria, caratteristica storica dell’ordinamento italiano, permetteva ai magistrati di passare durante la carriera da funzioni giudicanti a requirenti e viceversa, sollevando preoccupazioni sulla terzietà del giudice e sulla netta separazione tra chi accusa e chi giudica.

Gli standard europei di indipendenza giudiziaria e i principi del giusto processo sanciti nell’articolo 111 della Costituzione hanno spinto il governo a proporre questa riforma strutturale. L’obiettivo dichiarato è assicurare una distinzione netta tra funzioni giudicanti e requirenti, eliminare possibili interferenze tra l’azione dell’accusa e l’esercizio della giurisdizione, e garantire maggiore trasparenza nei procedimenti disciplinari.

La nuova struttura della magistratura ordinaria

Due Consigli Superiori distinti

La riforma introduce un cambiamento organizzativo fondamentale: al posto del Consiglio Superiore della Magistratura unico, vengono istituiti due Consigli Superiori separati. Il primo, denominato Consiglio Superiore della Magistratura giudicante, esercita competenze su tutti i giudici e sui loro percorsi professionali. Il secondo, Consiglio Superiore della Magistratura requirente, governa autonomamente i pubblici ministeri e le loro carriere. Entrambi gli organi rimangono presieduti dal Presidente della Repubblica e mantengono una composizione mista costituita da magistrati e da membri civili.

La componente civile dei nuovi Consigli prevede l’estrazione a sorte di professori universitari e avvocati con almeno quindici anni di esperienza professionale. Questa formula mira a garantire una maggiore rappresentanza di figure esterne al sistema giudiziario, riducendo il rischio di corporativismo e aumentando la legittimazione democratica delle decisioni. Le regole di composizione e funzionamento rimangono differenziate per i due Consigli, riflettendo le specificità delle funzioni giudicanti e requirenti.

L’Alta Corte disciplinare

Un’innovazione importante della riforma è l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare, organo centrale preposto a gestire le questioni disciplinari riguardanti tutti i magistrati, indipendentemente dall’appartenenza al Consiglio giudicante o requirente. Questo organismo rappresenta un tentativo di uniformare le sanzioni disciplinari tra le due magistrature e di garantire maggiore trasparenza e coerenza nei procedimenti sanzionatori. L’Alta Corte disciplinare risponde pertanto a un’esigenza di equità, evitando che magistrati in situazioni analoghe ricevano sanzioni differenziate a seconda della loro funzione.

La scelta irreversibile tra le due carriere

Incompatibilità del passaggio tra funzioni

Una delle caratteristiche più significative della riforma è l’introduzione dell’incompatibilità assoluta tra la funzione giudicante e la funzione requirente. A differenza del sistema precedente, dove un magistrato poteva durante la sua carriera passare da giudice a pubblico ministero o viceversa, la nuova normativa obbliga ogni magistrato a scegliere al momento del concorso di accesso quale carriera intraprendere, senza possibilità di cambiamenti successivi. Questa scelta diventa vincolante per l’intera vita professionale, garantendo una specializzazione verticale e duratura.

L’incompatibilità tra le due funzioni si fonda sulla convinzione che chi ha esercitato per anni la funzione giudicante potrebbe mantenere mentalità e abitudini che ne compromettono la terzietà qualora passasse successivamente a svolgere funzioni requirenti, e viceversa. La separazione netta, quindi, protegge l’imparzialità del giudice preservando una chiara distinzione tra i ruoli e impedendo contaminazioni tra l’esperienza accumulata in un ambito e l’esercizio in un altro.

Concorsi distinti di accesso

La riforma prevede concorsi di accesso separati per la magistratura giudicante e per la magistratura requirente. Questa innovazione significa che i candidati dovranno orientarsi già nella fase di selezione e preparazione concorsuale verso la specifica funzione che intendono svolgere. I bandi, le prove, i programmi di studio e le valutazioni saranno differenziati, permettendo di valutare le competenze e le attitudini specifiche richieste da ogni funzione.

I vantaggi della riforma secondo i sostenitori

Rafforzamento della terzietà del giudice

Secondo i favorevoli alla riforma, la separazione delle carriere rafforza in modo significativo la terzietà del giudice. Una magistratura giudicante completamente distinta dalla magistratura requirente, dotata di organi di autogoverno autonomi e di proprie regole di valutazione e avanzamento, offre garanzie maggiori di imparzialità e assenza di conflitti di interesse. Il giudice, sapendo che non sarà mai tentato dal passaggio a funzioni requirenti, non rischia di subire pressioni implicite o esplicite dall’esecutivo di cui il pubblico ministero è gerarchicamente dipendente.

Riduzione delle interferenze

Un secondo argomento a favore riguarda la riduzione delle possibili interferenze tra la funzione accusatoria e quella giurisdizionale. In un sistema dove le due magistrature condividono organi di governo e possono contaminarsi attraverso i passaggi di carriera, esiste il rischio che decisioni disciplinari, trasferimenti o valutazioni siano influenzate da considerazioni che mescolano le due funzioni. Con la separazione, ogni magistrato sa chiaramente quale sia il suo ruolo e quale sia l’ambito di autonomia e responsabilità a lui attribuito.

Conformità agli standard europei

La riforma rappresenta un adeguamento agli standard europei di indipendenza giudiziaria, riconosciuti in numerosi trattati internazionali e nelle migliori pratiche dei sistemi giudiziari contemporanei. Molti paesi europei applicano già la separazione tra funzioni giudicanti e requirenti, e questa scelta si è dimostrata coerente con le esigenze del giusto processo e della protezione dei diritti fondamentali.

Le critiche e le preoccupazioni sulla riforma

Frammentazione del potere giudiziario

I critici della riforma sostengono che la separazione delle carriere comporta il rischio di frammentazione del potere giudiziario italiano. Un sistema dove due magistrature operano in modo completamente autonomo, con Consigli Superiori distinti, regole diverse e assenza di connessioni organizzative, potrebbe perdere coesione normativa e operativa, compromettendo l’efficienza complessiva del sistema di giustizia. Secondo questa prospettiva, la magistratura italiana ha storicamente tratto forza dall’unità di principi, valori e procedure condivise.

Indebolimento del principio di unità della magistratura

Un ulteriore argomento critico riguarda il possibile indebolimento del principio di unità della magistratura, che costituisce una delle caratteristiche distintive dell’ordinamento italiano. La separazione netta rischia di trasformare due entità che, pur con funzioni diverse, appartengono allo stesso ordine giudiziario, in due ordini quasi completamente indipendenti. Ciò potrebbe comportare anche difficoltà nella comunicazione tra i due ambiti e nella gestione dei casi complessi che richiedono coordinamento tra giudici e pubblici ministeri.

Preoccupazioni sulla fase transitoria

Ulteriori preoccupazioni emergono circa la fase transitoria di implementazione della riforma. Il passaggio da un sistema unitario a uno biforcato richiede numerosi adeguamenti organizzativi, dotazioni di personale, sedi separate, e procedure diverse. Questo periodo di transizione potrebbe generare inefficienze temporanee nel sistema di giustizia, con il rischio di rallentamenti nei procedimenti giudiziari durante la reorganizzazione strutturale.

L’iter legislativo e il referendum confermativo

L’approvazione parlamentare

Il 30 ottobre 2025, il Senato della Repubblica ha approvato definitivamente il disegno di legge costituzionale in quarta deliberazione, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti. La Camera dei Deputati aveva già espresso il voto favorevole il 18 settembre 2025 in seconda deliberazione. Tuttavia, la riforma non ha raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le camere, prerequisito per approvare una modifica costituzionale senza sottoporla a referendum confermativo secondo l’articolo 138 della Costituzione.

Il referendum popolare della primavera 2026

Entro tre mesi dalla pubblicazione del testo nella Gazzetta Ufficiale, il referendum confermativo dovrà essere richiesto secondo le modalità previste dalla Costituzione. Hanno diritto di richiesta un quinto dei membri di ciascuna Camera, cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è previsto alcun quorum per il referendum, il che lo rende particolarmente decisivo per l’effettiva attuazione della riforma. L’esito del referendum nella primavera 2026 determinerà se la modifica costituzionale entrerà effettivamente in vigore oppure sarà respinta.

Le tempistiche di attuazione

Nel caso di esito favorevole al referendum, entro un anno dalla promulgazione dovranno essere approvate le leggi ordinarie che disciplinano i dettagli di implementazione della riforma: la composizione precisa dei nuovi Consigli, le modalità di funzionamento, i trasferimenti dei magistrati, le procedure concorssuali differenziate e tutti gli altri aspetti operativi. Durante questo periodo di un anno, continueranno ad applicarsi le norme vigenti nel sistema attuale, garantendo una continuità nelle funzioni giudiziarie.

Le modifiche costituzionali e gli adeguamenti normativi previsti

Gli articoli della Costituzione modificati

La riforma costituzionale interviene sulla Parte II della Costituzione, modificando i seguenti articoli: l’articolo 87 (competenze del Presidente della Repubblica), l’articolo 102 (ordinamento dei giudici ordinari), l’articolo 104 (ordinamento della magistratura e del Consiglio Superiore della Magistratura), l’articolo 105 (competenze del CSM), l’articolo 106 (accesso alla magistratura), l’articolo 107 (trasferimenti e promozioni) e l’articolo 110 (responsabilità disciplinare). Ciascuna di queste modifiche riflette l’esigenza di creare un quadro costituzionale coerente con la separazione delle due magistrature.

La clausola di invarianza finanziaria

La riforma include esplicitamente una clausola di invarianza finanziaria, che garantisce l’assenza di nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Sebbene l’istituzione di due Consigli Superiori e dell’Alta Corte disciplinare comporti una riorganizzazione strutturale, l’impegno è di realizzare questi cambiamenti senza aumentare la spesa pubblica complessiva destinata alla magistratura.

Lo scenario futuro e le implicazioni pratiche

Gestione dei magistrati in transizione

Una delle sfide concrete riguarda la gestione dei magistrati già in servizio al momento dell’entrata in vigore della riforma. Sarà necessario definire criteri chiari e giusti per permettere ai magistrati attuali di scegliere se permanere nella funzione giudicante o passare alla funzione requirente, oppure ricevere proposte di collocamento appropriate dalla magistratura in base al loro profilo. Questa transizione dovrà avvenire nel rispetto dei diritti acquisiti e delle posizioni già consolidate, evitando disparità o ingiustizie.

Implicazioni sul diritto processuale

Sebbene la riforma sia principalmente di natura organizzativa, potrebbe comportare adeguamenti nelle procedure processuali penali e civili. Ad esempio, le modalità di coordinamento tra giudici e pubblici ministeri all’interno di un procedimento potrebbero richiedere revisioni, così come i meccanismi di controllo esterno sulla magistratura requirente, che fino ad ora beneficiavano di una maggiore sinergia con la componente giudicante attraverso il Consiglio Superiore unificato.

La riforma della separazione delle carriere rappresenta quindi una trasformazione profonda del sistema giudiziario italiano, le cui implicazioni concrete si manifesteranno pienamente solo dopo l’approvazione delle leggi ordinarie di attuazione e il positivo esito del referendum confermativo previsto nella primavera 2026.

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